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MAURIZIO IONICO PDF Stampa E-mail
Image 8 GIUGNO 2022 contributo di Maurizio Ionico


23 marzo 2021 contributo di Maurizio Ionico


10 febbraio 2021 documento suddiviso in due parti: sulla politica territoriale alla luce del dibattito in corso e sulla NGEU in FVG.




























1 agosto 2015

... e ricadute economiche per il Friuli Venezia Giulia

leggi tutto29 giugno 2010 - scarica testo “Partiamo dai beni demaniali”. Questo è il titolo di un’iniziativa politica della Lega sul Federalismo. A prima vista, il fatto che lo Stato si libera di una serie di beni, per trasferirli alle Regioni e ai Comuni per una loro più efficace “valorizzazione”, sembrerebbe una buona cosa. Ma è proprio così?
E’ in atto, in realtà, un’operazione al tempo stesso ambigua e preoccupante che intende al fondo spezzettare la gestione dei “beni pubblici” in mille rivoli e canali facendo venir meno il requisito essenziale dell’”unitarietà” del bene, oppure svincolarli dalla disponibilità pubblica attraverso decisioni ardite o poco trasparenti, fino a privatizzarli destinandoli per una parte, più o meno consistente, al mercato. Questo è il rischio concreto che corrono beni costituiti da patrimoni storici, artistici, architettonici, paesaggistici e ambientali. Si tratta di patrimoni che prima di ogni altra cosa appartengono alle generazioni future e che, spesso, definiscono anche l’identità delle comunità locali e rappresentano un simbolo per i territori. Un patrimonio immenso che è, per definizione, di tutti e che nel corso del tempo moltitudini hanno partecipato a formare e preservare. Le ragioni di una simile scelta risiedono in una cultura che, per la verità, non nasce oggi e propone appunto di “liberarsi” di alcune cose per fare cassa o, quando va bene, per trasferire l’onerosità della loro gestione da un ente a un altro. Con la scusa della crisi economica e della scarsità delle risorse finanziarie pubbliche si insiste, in sostanza, di liberare prima di tutto lo Stato, cioè l’autorità che ha il dovere di assicurare l’integrità dei beni, da quanti più oneri e funzioni possibili e di individuare le migliori forme per la più redditizia valorizzazione. Ma a questo destino non sfuggono le Regioni e Comuni, chiamati prima a sostenere gli oneri di gestione e, poi, a valutare la vendita per introitare nuove risorse tali da sostenere i propri bilanci di fronte alla esiguità dei trasferimenti, in primo luogo attraverso l’utilizzo di procedure di pianificazione e la trasformazione urbanistica. I beni demaniali ritenuti più interessanti quali, ad esempio, le coste, le spiagge, le sponde dei corsi d’acqua fino alle aree e gli edifici storici sono destinati, alla fine, a passare dalla disponibilità pubblica a quella privata. Se il Federalismo avrà questa faccia, se non esisteranno più patrimoni rigorosamente tutelati e beni resi indivisibili e destinati alla completa disponibilità e fruizione di ognuno, allora non si tratta di aria nuova e pulita. Come in altre situazioni, anche questa non ha ampia pubblicità e informazione. Vi sono casi, per fortuna, in cui è in atto un moto di indignazione, come sulla vicenda dell’acqua su cui milioni di cittadini si stanno impegnando al fine di mantenerla al dominio collettivo. I beni comuni rappresentano un nuovo terreno dove misurare la qualità delle decisioni pubbliche e i tratti essenziali del futuro. 16 febbraio 2010
Non si placa il pressing per individuare “Commissari straordinari” come miglior antidoto contro la complessità delle opere pubbliche, la farraginosità delle procedure e i tempi lunghi di esecuzione delle previsioni. Si tratta, in realtà, di una “deriva centralistica” e della mancanza di rispetto del principio della “leale collaborazione” tra poteri stabilito dalla Costituzione e dalle normative regionali. E’ possibile, invece, ottenere efficienza dal miglioramento della programmazione e dalla stipula di un “patto di stabilità” sulle reti di trasporto e le opere pubbliche più rilevanti.
Sono molti che insistono per avere un Commissario straordinario con poteri sostitutivi per gestire progetti, processi autorizzativi e lavori. Questa figura è, da punti di vista diversi, considerata indispensabile anche per l’on. Mario Valducci (presidente della Commissione Trasporti della Camera) e per l’ing. Gianpaolo Guaran (vicepresidente della Federazione Regionale degli Ingegneri) vista l’urgenza di accelerare le attività, semplificare le procedure e portare a compimento le opere in tempi ragionevoli.In Italia e in Regione questa esiste da molti anni ed è impegnata sulle più disparate situazioni, dalla sanità ai depuratori, dai rifiuti alle strade, dalle terme alle alluvioni. La stessa Protezione Civile in ogni realtà si configura come un commissario dai pieni poteri per gestire ogni sorta di emergenza nei modi e termini che ritiene, di volta in volta, più appropriati. Gli esiti di quest’attività non sono sempre esaltanti, basti pensare ai tempi enormi di costruzione della A28 e alla situazione in cui versa ancora la Laguna di Grado e di Marano. Forse suggeriscono una qualche riflessione più meditata.
L’utilità della figura, assieme all’uso “gladiatorio” della Legge Obiettivo, è stata riproposta dal DPCM, del 5 agosto 2009, che individua gli “investimenti pubblici ritenuti prioritari per lo sviluppo economico del territorio”, tra cui l’asse ferroviario Venezia-Trieste, e dalla legge regionale n. 11/2009, che fornisce indirizzi nel campo delle opere considerate “strategiche”, dalle infrastrutture viarie alle reti energetiche. In questo momento è in atto nella gestione della 3^ corsia autostradale. Alla fine, una figura come il Commissario non si contraddistingue per affrontare questioni straordinarie ed emergenziali. Sta diventando nei fatti un modo “consuetudinario” per gestire ogni tipo di situazione e un invito a “commissariare l’iter dei lavori” anche quando non sono utili o condivisi.
In realtà si sta assistendo a una deriva centralistica a ogni livello (statale, regionale), e si sta creando un contrasto con il principio contenuto nella Costituzione e nelle disposizioni regionali dove si richiama la “leale collaborazione" tra potere centrale e poteri locali. Così, comunità e comuni, ad esempio, sono espropriati di potestà di pianificare il proprio territorio e viene meno la “certezza” dell'efficacia della loro pianificazione, che si deve in ogni caso adeguare alle decisioni commissariali.
Ma come rispondere all’esigenza di avere regole e procedure che permettano di pensare e fare le cose presto e bene? E come per far fronte alla rottura e ai conflitti che sempre più spesso si presentano, non solo con il volto popolare (comitati) ma anche con quello istituzionale (tavoli)? E se i governi cambiano, devono per forza cambiare anche le decisioni e le procedure intraprese?
C’è il bisogno di ristabilire il rapporto tra politica e cultura, tra pubblica amministrazione e tecnica, tra le classi dirigenti e gli specialisti; e c’è bisogno di rendere le procedure agili ed efficaci al tempo stesso, senza depotenziare la loro funzione (ad esempio, della Valutazione di Impatto Ambientale, della Valutazione Ambientale Strategica, della Valutazione di Incidenza: si vuole forse operare in assenza di meccanismi valutativi e di controllo?).
La complessità di un’infrastruttura o di una qualsiasi soluzione ipotizzata non può essere arbitrariamente “semplificata”. Non è pensabile, infatti, fornire risposte esclusivamente tecniche a questioni politiche (ad esempio, serve l’opera? che benefici comporta la soluzione proposta? come far interagire l’infrastruttura con il territorio ed i luoghi?).
Naturalmente non basta limitarsi a richiamare la necessità di una “regia unitaria”, fra i diversi livelli istituzionali, capace di affrontare la complessità a un più altro livello di elaborazione.
Prendiamo ad esempio il caso delle opere pubbliche e delle infrastrutture di trasporto. E’ indispensabile riprendere in mano la programmazione, cioè il quadro delle previsioni costituite da un’attenta selezione delle priorità del Paese e della Regione, e la pianificazione, come strumento concettuale e operativo, in modo che i poteri centrali e locali dialogano, si corresponsabilizzano e decidono. Poteri chiamati a esprimersi in conformità a un quadro di conoscenze condivise, con fonti garantite anche da soggetti indipendenti quale condizione minima su cui basare la fiducia reciproca, sulla valutazione delle strategie possibili, anche alternative, supportati dall’analisi costi-benefici delle previsioni, che utilizzano lo strumento della “fattibilità” per valutare le priorità, avviare la concertazione istituzionale, formare le decisioni.
Sarebbe interessante introdurre il concetto di “patto di stabilità” sulle infrastrutture rendendo permanenti le decisioni assunte, nel tempo e indipendentemente del tipo di governo locale. E’ possibile farlo attraverso il vincolo della destinazione delle risorse e il rapporto con il territorio, che non avviene attraverso fasi consultive ex-post ma, invece, interviene nella fase della pre-fattibilità che si pone il problema di legare la programmazione al piano e al progetto tecnico e, in sostanza, assicura sostenibilità alle trasformazioni territoriali e urbane.
In questo clima di “leale collaborazione”, fatto di comportamenti e azioni coerenti, si rafforzano le opportunità di competere, in altre parole si rafforza il concetto di “interesse generale” e diventa possibile la semplificazione delle procedure.

Maurizio Ionico




27 settembre 2009 - La previsione e costruzione di opere e infrastrutture in Friuli Venezia Giulia avviene in uno scenario inedito e controverso.
Gli orientamenti della Giunta Regionale, attraverso il Decreto anti-crisi, e delle Province, da un lato, e i programmi degli enti operativi, come Autovie Venete, Anas, Friuli Venezia Giulia Strade e Terna, dall’altro, scaricheranno sul territorio una mole enorme di investimenti e di ipotesi di intervento per i prossimi anni attorno ai 3 mld di €. Senza contare le previsioni di Rfi nel settore ferroviario che, prima o poi, interesseranno anche la Regione, e le iniziative private attraverso i progetti di finanza.
Tutto ciò non è solo accompagnato da un’enfasi acritica sull’effettiva disponibilità di risorse degli enti o sulla reale utilità e qualità delle opere, ma s’inserisce in un contesto istituzionale e tecnico contraddistinto da tra elementi.
Dalla deriva centralistica, incentrata nella figura del “commissario” quale entità cui si delega la gestione della complessità o la fuoriuscita da situazioni compromesse, in ragione della semplificazione delle procedure e della rapidità delle decisioni, che, di volta in volta, riguarda il dragaggio della laguna, la costruzione delle terme o di un depuratore, la riorganizzazione sanitaria, per finire alla Terza corsia autostradale e alla viabilità regionale, come previsto dal Decreto anti-crisi Regionale.
Dalla frammentazione amministrativa, determinata dalla polverizzazione dei Comuni e dell’incerta filiera istituzionale che non permette una corretta relazione tra la programmazione degli interventi, la partecipazione e condivisione delle decisioni, la corretta esecuzione e in tempi certi delle opere.
Dall’assenza di strumenti di governo integrato del territorio, in virtù della mancanza del Ptr (Piano territoriale regionale) e del Piano Paesaggistico, e dell’impossibilità per i Comuni di intervenire assieme per pianificare il territorio in termini di “area vasta”, che impedisce di creare un nuovo e condiviso equilibrio tra reti, città, ambiente in Friuli Venezia Giulia.
Naturalmente non è dato sapere se attorno questi tre nodi la riflessione si accompagnerà all’individuazione di misure istituzionali e tecniche più efficaci. In ogni caso, il rapporto tra l’entità degli investimenti che interessano ogni area regionale e la situazione presente genera rischi e paradossi per le comunità locali ed il territorio.
Non so se la fase attuale possa essere “costituente”. Sia almeno “transitoria” e favorisca l’adozione di “buone pratiche” e di “sperimentazioni” tali da favorire i processi partecipativi e la pianificazione territoriale ed urbanistica.
In primo luogo vanno rese permanenti le relazioni con i soggetti territoriali per approfondire gli aspetti di natura tecnica la progettazione di importanti opere (Alta capacità, raddoppi ferroviari, bretelle, tangenziali) trascina con sé. Cogliere l’occasione significa coinvolgere gli attori del territorio per assegnare al progetto qualità architettonica, ambientale e paesaggistica. Poiché siamo una regione a statuto speciale, va riassegnato un valore alle Conferenze dei Servizi, dopo che il Governo ha ridimensionato il ruolo delle posizioni, anche quelle di tipo amministrativo, che esprimono perplessità al riguardo delle opere che non assicurano tutela ambientale e del patrimonio storico, salvaguardia territoriale e paesaggistica.
E’ tempo, tuttavia, di iniziare una riflessione che non si limiti a esaminare il “progetto” dell’opera ma passi ad approfondire il rapporto tra l’opera e il “programma” territoriale e la visione futura che le comunità coinvolte intendono perseguire. Il passo è importante poiché permette di esaminare le trasformazioni e la nuova geografia economica e sociale che scaturiscono dalla dimensione degli interventi.
E’ possibile che interi spazi territoriali, come la Bassa pianura friulana, l’hinterland a sud di Udine, l’area pedemontana tra le province di Udine e Pordenone, il contesto urbano di Pordenone siano coinvolti dalla previsione di robuste reti, magari in regime commissariale, che attraversano lo spazio e lo modificano in assenza di strumenti di governo integrato del territorio?
Come possono le comunità incardinare l’idea di futuro in un programma urbanistico ed economico sostenibile di fronte alla previsione di nuove ferrovie, strade e piattaforme, che rappresentano connettività e attrattività, ma determinano contemporaneamente trasformazioni del suolo, nuove “centralità”, tensioni competitive interne, evoluzione dell’identità dei luoghi?
In alcune aree è possibile iniziare a sperimentare anche attraverso l’adozione di strumenti ad hoc. La Bassa friulana, ad esempio, può diventare il primo di questi laboratori. Le previsioni della Terza corsia autostradale Quarto d’A.-Villesse, dell’Alta capacità Mestre-Trieste, delle bretelle di collegamento tra Palmanova-Cervignano e Palmanova-Distretto della Sedia, della complanare e della viabilità tra Torviscosa e S. Giorgio di Nogaro, suggeriscono una pianificazione del territorio di area vasta capace di intervenire sulla qualità delle opere, sugli effetti determinati dall’intreccio degli interventi, sulle relazioni tra evoluzione delle comunità e tutela dei luoghi e patrimoni storici. E’ un’occasione straordinaria per ri-costruire ambiente e paesaggio.

Maurizio Ionico
Castions di Strada
 
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